Food » Sulle tracce di Elena Ferrante: una storia d’amore

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Elena Ferrante si è presa un pezzo della mia vita e del mio tempo, mi è entrata nel corpo come un amore distruttivo. E chi mi conosce lo sa. Così, in questi giorni in cui si parla tanto della sua identità, voglio raccontare anch’io la mia storia su di lei.

Perchè io sapevo chi era la Ferrante.

All’inizio, non mi sono chiesta chi fosse: come in ogni innamoramento, cominci dai tratti, dalle caratteristiche, prima ancora di chiedere “chi sei”, “da dove vieni”. Lo diceva un altro grande scrittore, di cui pure non abbiamo mai accertato il nome, che la rosa profumerebbe anche se non si chiamasse rosa.

Così, mi sono innamorata del corpo e della mente di quest’autore, senza chiedermi chi fosse. Del suo corpo letterario, lo stile: asciutto, quasi fosse una traduzione di una lingua anglofona, privo di dialoghi diretti, con assenza di dialettismo e allo stesso tempo fortemente descrittivo del contesto napoletano. Poi della mente, affollata da sogni e incubi che tornano sempre, sotto forma di temi, in tutti i romanzi, anche in quelli precedenti al ciclo de “l’amica geniale”:  la necessità di scrivere, l’Università, il complesso rapporto con la maternità, il disprezzo e l’amore per Napoli, la femminilità, la sessualità.

Poi l’innamoramento è diventato amore. A un certo punto, volevo sapere tutto di lei: da dove veniva, che aria aveva respirato, chi l’avesse ispirata.
La Bignardi ha ragione quando dice che talvolta conoscere l’identità di uno scrittore comporta una grande delusione e che esistono persone più interessanti degli scrittori, come forse sarà l’accademica che Santagata ha individuato come autrice.

Il mio lavoro all’Università mi ha presentato tanti docenti. Non rientro in alcuna gerarchia, com’è giusto per chi si occupa di rete e di web, anche se accademico, e così mi si mostrano senza troppe barriere. Sono tutti diversi, tutti affascinanti: ordinari di matematica che scrivono gialli sotto pseudonimo, docenti di statistica che pensano al tennis come disciplina, ordinari di veterinaria ammirati per le ricette e la cucina, docenti di robotica che scrivono come tifosi sfegatati di curva B, presidi di Facoltà pazzi per le serie tv, scienziati politici che musicano Montale, ordinari di architettura che collezionano spille di animali per i mercatini del mondo, ingegneri gestionali che provano a immaginarsi oratori, e molte altre cose potrei raccontare, senza svelare l’identità dei potenti accademici. Sono certa che in Federico II, tutti comprerebbero un volumetto con queste storie, semmai decidessi di scriverlo.

Ma i docenti universitari, anche quelli figli di baroni, persino quelli che sono arrivati al posto più per discendenza che per percorso personale, non sono figure mitologiche o macchiette: sono una miniera inesauribile di storie, fatti, tempi, manie. Sono spesso sconosciuti, schivi, noti solo in piccole cerchie. Sono geniali, talvolta odiosi e spocchiosi, ipocriti e arroganti, ma pur sempre passionali. Ho imparato tanto da ciascuno di loro, e spero di farlo ancora, perchè è un mondo che amo e che ammiro.

E così ho saputo subito che Elena Ferrante stava dietro una cattedra universitaria, intorno, di lato.

Ho cominciato a cercarla nei convegni, tra gli scritti, soprattutto tra gli storici e i linguisti. Mi ha colpito la candidatura di Saviano allo Strega: Saviano e la Ferrante provano a ribaltare Napoli alla stessa maniera: sparigliando le carte, raccontando la Storia e le Storie. Vengono sicuramente dagli stessi studi, e anche un pò dagli stessi ambienti. Ed entrambi sono lontani da Napoli pur sbattendocela in faccia, in ogni momento, in ogni riga. Saviano è lontano anche fisicamente ma la Ferrante secondo me Napoli la calpesta ancora, ne è lontana spiritualmente, la vorrebbe diversa. (un altro che pure spariglia le carte su Napoli è Ivan Cotroneo, e lo fa col sorriso, forse  l’arma più potente secondo Aristotele).

Una Napoli senza stereotipi, che ha dentro tanta volgarità e tanta camorra, ma anche l’eleganza, la modernità, la libertà. Tre cose mancano nei romanzi della Ferrante: il cibo, la musica, e il mare come connotazione positiva. (Al mare succedono sempre fatti spiacevoli, che sia la perdita di una bambina o di una bambola, o un tradimento, o l’emergere di una fragilità). Mancano del tutto le 3 cose che si associano alla Napoli degli stereotipi: ‘o mare, ‘a pizza e ‘o mandulino.

Quando ci si innamora, si vuole poi dedicare qualcosa, ammaliare l’oggetto del proprio amore. E io che ho fatto? Le ho dedicato anche un’idea, che aveva a che fare con la pizza. Niente di più assurdo, per un autore che rinnega Napoli e i suoi stereotipi.

E invece no. La pizza oggi è il simbolo del rinnovamento di questa città. E’ il simbolo di una tradizione che evolve e diventa studio, ricerca, scienza. La pizza oggi è il simbolo di un riscatto, della volontà di negare quelle immagini anni ’80 di una Napoli gommosa, indigesta, mafiosa.

Così, a questa/E/O autore, ho dedicato la mia idea di rinnovamento di Napoli, oltre che di chiave di lettura di una città che sta cambiando odori, sapori, fisionomie, anche attraverso il cibo. Ho sperato che Elena Ferrante mangiasse la pizza, leggesse le descrizioni dei personaggi e sorridesse fra sé, perchè una persona che non vuole clamori e premi, può invece apprezzare molto piccoli e saporiti segnali di approvazione.

Poi sono arrivate le supposizioni sui giornali, i tour promozionali della città.

Ho pensato subito che l’inchiesta di Santagata fosse a metà. Era un’inchiesta di uno che i romanzi non li aveva letti bene. Dietro i romanzi  de “l’amica geniale” c’è una scrittura giovane e sfacciata, un pò diversa dai precedenti. C’è la collaborazione di altre mani, oltre a quelle dell’autrice storica. Forse quelle di una figlia.

Ci sono due donne, dietro Elena Ferrante: una madre con la sua storia, che è poi la storia d’Italia, oltre che di Napoli, e una figlia con tutte le sue fragilità di donna, le sue ansie, la sua scrittura spregiudicata e ritmata, le sue smarginature, date anche dalla condizione di vivere in una città come Napoli.

E hanno ragione entrambe a sottrarsi ai salotti televisivi, agli shooting fotografici, agli incontri coi lettori e alle presentazioni con gli autori che pure, si capisce bene, hanno già fatto per altri libri, per altri racconti. Che fuggano queste pantomime, queste recite. Hanno ragione a riderne tra sè, questa mamma e questa figlia che vivono di libri e ricerche, che hanno respirato la Napoli bene e che, non so come, conoscono altrettanto bene quella dei bassifondi, del rione, che è certamente il Rione Luzzatti.

Hanno ragione a non volersi svelare più di tanto. A negare sorridendo, a non uscire allo scoperto.

Ora, come in tutte le storie d’amore, a Elena Ferrante, che sia o meno una particolare coppia, che sia uno scrittore famoso, una donna, un uomo, o davvero una madre e una figlia, anche se non credo siano i nomi che circolano, vorrei chiedere un pegno d’amore.

Non di conoscerla, ma di intervistarla. Mi conceda un’intervista, cara Elena Ferrante, a distanza, in risposta alle storie sulla sua identità, sugli occhi di Napoli, su quelli dell’Accademia.

Come tutti gli innamorati, probabilmente verrò delusa, e una grande scrittrice, come ogni oggetto d’amore, non si abbasserà a questa sua giovane corteggiatrice, che potrebbe essere sua allieva, e nemmeno tra le migliori. O spariglierà le carte, ancora una volta.

 

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