Me » Pranzo in ufficio

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Quando siamo arrivati non c'era niente, tranne due scrivanie e un grande, meraviglioso tavolo.

Poi abbiamo iniziato coi mobili. Coi soprammobili. Con la cancelleria.

Poi con la prima macchinetta del caffè.

Ma io mi sono sentita davvero a casa solo quando abbiamo comprato il frigorifero e il forno a microonde. Perchè mangiare caldo d'inverno e bere fresco d'estate sono le cose che più sollevano in una giornata di lavoro. Perchè anche quando i lavori sono precari, a tempo, a termine, uno una radice la vuol mettere. E non perchè sia schizzinoso, o meglio choosy, ma perchè l'uomo è un essere transitorio, che vuol pensarsi infinito e per questo prova a radicarsi, riprodursi, rendere tangibile il suo passaggio.

Io mi porto il pranzo da casa.

Lo faccio perchè comprare tutti i giorni alla rosticceria fa

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stare male, sia lo stomaco che il portafoglio. Mi piace preparare la sera o la mattina presto quello che mangerò dopo molte ore. Certo, va scelto con cura, non tutto è adatto. (la pasta e zucca che ho portato oggi e che è fatta così, lo è).

Prendermi cura di quel pasto che farò coi colleghi, un pò di fretta, un pò parlando di lavoro, un pò per i fatti miei e molto in comunità, mi fa sentire bene. Mi fa capire che in questo lavoro c'è del mio. Ci sono i miei

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sbagli, le mie idee, le mie parole, le mie trovate, le mie dita veloci sulla tastiera, i miei tacchi nel corridoio, le telefonate fuori verso il mare, le telefonate dentro a guardare il monitor, le interminabili ore di riunione, le feste, le parole gentili delle colleghe, gli sfoghi isterici degli altri, le mail, le caselle mail, gli account, le bacheche wordpress, la musica nelle cuffie, gli Imac, gli Ipod, gli Ipad, gli AhiAhi Ahi.

Tutto questo è a tempo. Il tempo sta passando, non tanto lentamente come vorrei. Sta scomparendo, un boccone dietro l'altro. Forse è stato divorato e sta finendo.

E resto immobile, come davanti ad un piatto vuoto, pensando che poteva venire meglio, ma che comunque ne avrei voluto ancora.

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